di Corrado Bianchi Porro

Lo scorso anno il surplus della bilancia commerciale italiana ha superato i 50 miliardi di euro e ha realizzato così un record storico, col valore più alto da 25 anni a questa parte, quando sono iniziate le serie storiche dell'Istat.
Per la precisione, rispetto all'avanzo di 41,8 miliardi del 2015, nel 2016 il surplus è stato pari a 51,6 miliardi. È da rilevare tuttavia che un forte impulso a favore della crescita dell'avanzo è venuto anche grazie al calo del valore delle importazioni, a motivo del ribasso delle materie prime e dei valori energetici, dato che le importazioni del 2011 avevano superato i 400 miliardi di euro, mentre lo scorso anno si sono situate a 365 miliardi. In sostanza, l'export ha raggiunto un tetto di 417 miliardi di euro nel 2016 (412 l'anno precedente) un risultato tuttavia rimarchevole se si pensa per esempio che negli ultimi tre anni è diminuito l'export verso la Russia di circa 5 miliardi a causa delle sanzioni che termineranno nel luglio di quest'anno 2017.

Non sorprendono dunque i dati positivi che l'OCSE ha riconosciuto all'Italia nello studio dedicato qualche settimana fa con un incremento del Pil dello 0,9% lo scorso anno e stime marginali di crescita sia per il 2017 che per il 2018. L'economia italiana, spiega l'Organizzazione dei Paesi industrializzati nel suo ultimo rapporto, è dunque in via di ripresa, dopo una lunga e profonda recessione. Va comunque notato, aggiunge l'Organizzazione, che la ripresa rimane tuttavia debole ed è pertanto necessario investire maggiormente nelle infrastrutture al fine di sostenerla.
Perché questi avvertimenti? Bastano due considerazioni. In primo luogo l'aggiustamento dei conti è in parte conseguente al diminuito costo del denaro a seguito della politica monetaria della BCE. Tra il 2012 e il 2016, per esempio, la spesa per interessi sul debito pubblico è passata dal 5,2% ad una stima del 4,0% del Pil. In secondo luogo, il basso livello degli investimenti ha frenato la crescita delle importazioni. In sostanza, spiega l'Ocse, se la ripresa successiva alla precedenti crisi del dopoguerra era stimolata da un boom delle esportazioni (a motivo della svalutazione della moneta), oggi con l'euro non si può più fare affidamento su una svalutazione dei tassi di cambio. Anzi, il livello degli investimenti è oggi in Italia pari solo al 70% di quanto registrato al picco che ha preceduto l'ultima crisi e gli investimenti pubblici sono calati ad un livello di poco superiore al 2% del Pil (il livello più basso da oltre 25 anni). Insomma, rammenta l'Ocse, la politica italiana deve ritrovarsi in un delicato equilibrio tra il risanamento dei conti pubblici e il sostegno ad una ripresa economica che ancora incerta e titubante. Bisogna dunque puntare su questo fattore, avverte, perché investimenti pubblici efficaci favoriranno la crescita e, parallelamente, contribuiranno a ridurre il livello del debito.

Un altro suggerimento Ocse è di puntare ad un efficace contrasto all'evasione fiscale. Infatti, oggi in Italia il livello di imposte arretrate è ancora elevatissimo. Nel settembre del 2015, il totale delle imposte arretrate era infatti pari ad oltre 750 miliardi di euro, una somma pressoché equivalente al gettito fiscale annuo delle amministrazioni pubbliche. Il gettito IVA è inferiore a quanto dovrebbe essere. Quando poi si arriva agli accertamenti d'imposte, essi risultano spesso inesigibili. Un miglioramento dell'esazione delle imposte e Iva apporterebbe un netto incremento degli introiti e consentirebbe di ridurre gli oneri sociali senza incidere sul gettito. Se si incrementasse il gettito IVA migliorando il sistema di riscossione fino alla media dei Paesi Ocse, aumenterebbero le entrate di circa 45 miliardi di euro.

Infine, si precisa che i coefficienti patrimoniali delle banche italiane sono superiori agli standard normativi. Ma, per altri aspetti, gli istituti bancari presentano numerose vulnerabilità rispetto a quelli degli altri Paesi a motivo di un ingente stock di crediti deteriorati.