di Rocco Lettieri

Il Sannio Consorzio Tutela Vini ha ospitato una quindicina di giornalisti del settore enogastronomico, con un programma a tema: “Nel Sannio coltiviamo emozioni - Wine tour”, una prima vera iniziativa che ha dato l’opportunità di scoprire il ricco territorio viticolo sannita e poter degustarne la variegata produzione enologica a Denominazione di Origine, con un’attenzione particolare rivolta anche alla gastronomia, le bellezze paesaggistiche e architettoniche e le ricchezze artigianali.

Benevento: città delle streghe
A guidare la delegazione Paul Balke, giornalista enogastronomico olandese trapiantato da qualche anno in Italia, grande conoscitore di vini e scrittore di libri, l’ultimo sul Piemonte. L’appuntamento per tutti era a Benevento e non possiamo cominciare a parlare di questo tour senza dare spazio a questa città “stregata” che ha una storia incredibile anche per la sua strategica posizione tra le strade più importanti del Sud.
Posta nell’entroterra della Regione Campania, posizionata tra i fiumi Sabato e Calore, ha un passato ricco di storia, ove suggestivi e splendidi monumenti sono lì a testimoniare secoli e secoli di gloriosi eventi. È una città che può definirsi “museo a cielo aperto”. Conosciuta come la città delle “Streghe” anche per via del famoso liquore, la storia della magica città si sintetizza in tre periodi principali: Romano, Longobardo, Pontificio. Ognuno di questi ha lasciato testimonianze storico – artistiche di notevole pregio. L’Arco Traiano, che si erge al centro della città, fu costruito tra il 114 e 117d.c. in onore dell’omonimo Imperatore, posto all’inizio della Via Traiana che abbreviava il percorso da Benevento a Brindisi; il Teatro Romano, voluto da Caracalla, famoso per la sua ottima acustica; l’Arco del Sacramento. Nel periodo Longobardo, a seguito della caduta del Regno di Pavia fu elevata a Principato da Arechi II che, amante delle arti e della cultura, realizzò numerose opere architettoniche, quali la chiesa di S.Sofia con il suo bellissimo chiostro, la “Civitas Nova” con le sue mura perimetrali.
La fine della dominazione Longobarda segna il passaggio di Benevento al dominio Pontificio: testimonianze architettoniche di tale periodo sono la maestosa Rocca dei Rettori, il Duomo, Palazzo Paolo V, Basilica di S. Bartolomeo, la Basilica della Madonna delle Grazie. Con l’Unità d’Italia, Benevento fu liberata dal dominio Pontificio e con decreto 25 ottobre 1860 di Giorgio Pallavicini fu dichiarata Provincia d’Italia. A causa della sua centralità nelle comunicazioni ferroviarie fra Roma e Puglia, la città venne colpita in maniera durissima dai bombardamenti angloamericani nel 1943. Il 21 agosto gli Alleati cominciarono a bombardare la città per stanare i tedeschi e spingerli a risalire la Penisola: il primo obiettivo centrato fu la stazione ferroviaria. Un secondo bombardamento degli angloamericani, nei giorni 11 e 12 settembre spianò per intero Piazza Duomo e Piazza Orsini. Il 2 ottobre 1943, i tedeschi lasciarono la città.
Per il comportamento della cittadinanza in queste difficili circostanze, nel 1967 la città fu insignita della medaglia d’oro al valor civile. Pochi anni dopo la guerra, la terribile piena del fiume Calore del 2 ottobre 1949 portò ancora vittime e distruzione. Oggi la città vive anche intorno al “Premio Strega” istituito nel 1947, a Roma, da un gruppo di letterati che frequentavano il salotto di Goffredo e Maria Bellonci. Insieme alla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci ne è promotrice la ditta Alberti, produttore del liquore di Benevento, da cui il Premio prende il nome.

Distillato di erba e magia

Scontato pertanto un riferimento al famoso liquore creato a Benevento nel 1860 da Giuseppe Alberti, che decise di creare una bevanda consapevole del fascino e dell’interesse popolare che ruotava intorno alla leggenda. Mise in relazione la nascita del suo liquore al mito popolare, secondo cui esisteva un filtro d’amore preparato dalle streghe per unire per sempre le coppie. Questa è la genesi leggendaria del liquore Strega, la cui fama è tutt’oggi legata alla leggenda e conserva un fascino sempre attuale. La ricetta del “distillato di erba e magia”, come recita uno slogan del liquore, non a caso è segreta e viene tramandata da generazioni nella famiglia Alberti. La distillazione coinvolge più di 50 erbe provenienti da varie parti del mondo: erbe sannite (menta selvatica), erbe mediterranee (lavanda, ginepro, corteccia d’arancio) e spezie esotiche orientali (cannella, pepe di Jamaica, chiodi di garofano, zafferano che ne dà il caratteristico colore giallo). Ritenuto eccellente dopo pasto, il liquore si esprime al meglio nelle più svariate modalità di consumo: ottimo bevuto liscio, non perde il suo gusto con ghiaccio, aggiunto a cocktails o nella preparazione di dolci. È proprio questa sua versatilità ad aver reso possibili prodotti che fossero intimamente legati allo Strega come il torrone, i babà al liquore, gli araldi allo strega, il gelato “mela stregata”, il pan Torrone e i cioccolatini con il cuore allo Strega chiamati “Goccioloni”.
Filtro d’amore o no, è comunque indubbio ciò che diceva Sylva Koscina in uno spot degli anni ‘60: “Il primo sorso affascina, il secondo strega”.
Dalle streghe ai Santi, il passo è breve: nelle vicinanze c’è Pietrelcina, nota in tutto il mondo per aver dato i natali il 25 maggio 1887 al civico 32 di Vico Storto Valle, a Francesco Forgione, noto come Padre Pio da Pietrelcina, battezzato il 26 maggio nella chiesa di S. Anna e proclamato Santo da Papa Giovanni Paolo II il 16 giugno 2002.

Comincia il tour
Fatta questa doverosa presentazione di Benevento che ci ha dato il “benvenuto” nelle terre dei Sanniti, il gruppo si è spostato a Solopaca, dov’era programmata la visita nei vigneti di una delle prime Denominazioni di Origine della Campania. Impossibile non parlare dell’avvenuta alluvione del 15 ottobre 2015. Un disastro che nel giro di poche ore ha mandato un mare di fango nella Cantina che si apprestava a festeggiare i 50 anni dalla nascita. Un mare di bottiglie sotto un mare di fango, che solo con un’operazione lungimirante poteva portare al recupero e alla vendita in 5 giorni di 80.000 bottiglie #SporcheMaBuone, iniziativa della Cantina di Solopaca che ha messo in vendita le ottantamila bottiglie infangate tratte in salvo all’interno della struttura alluvionata. Un’iniziativa che, anche grazie allo spazio ottenuto sui media regionali e nazionali, ha ulteriormente contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma vissuto nel Sannio in quelle due settimane. Le bottiglie recuperate, ancora completamente infangate, non hanno fatto in tempo ad arrivare dalla bottaia al punto di vendita di via Bebiana, dove sono state immediatamente vendute. Una richiesta enorme, soddisfatta anche attraverso la vendita in rete: ordini sono infatti giunti da tutt’Italia e dal mondo. Una cosa è certa: la Cantina di Solopaca, adesso sa di poter contare sulla vicinanza di migliaia di persone, che hanno potuto apprezzare il sacrificio e la volontà di rialzarsi da una calamità naturale di enorme portata. Anche il presidente Carmine Coletta ci ha voluto esternare i propri sentimenti. “Sono bastati solo cinque giorni. Cinque giorni in cui la generosità dell’Italia intera ha bussato incessantemente alla porta della nostra Cantina. Non posso fare altro che ringraziare di cuore tutte le persone che hanno partecipato a questa gara di solidarietà. A loro dico: siete stati semplicemente meravigliosi. Grazie a questa iniziativa ci stiamo risollevando con maggiore forza e convinzione. Da oggi guardiamo al futuro con ottimismo”.
Dalle parole del ricordo, ai fatti: ecco la visita ai luoghi di produzione e alle rinate vigne dopo l’alluvione. Viaggiando attraverso le sue colline è possibile comprendere quanto la viticoltura caratterizzi il territorio, e quanto sia soggetto tutelante il paesaggio e fonte di sostentamento economico delle sue genti. Non deve sorprendere quindi, che nella provincia più agricola della Campania, il primo posto nella produzione di reddito in agricoltura spetta proprio al comparto vitivinicolo. In alcune aree la vite e la sua epoca vegetativa, scandiscono il tempo della vita della comunità locale, in particolare nelle aree tra il massiccio del Matese e il Taburno, e dalle pendici del Taburno al fiume Calore. Oggi l’intero comparto, sostenuto da un rinnovato entusiasmo, sta trasformando un’area che storicamente era viticola in area vinicola, con la nascita di nuovi imprenditori e nuove tecniche di conduzione agricola, nel segno di una rinnovata tradizione. Non a caso operano nella provincia strutture associative sotto forma di cooperative, che riuniscono insieme quasi duemilacinquecento viticoltori, realtà uniche in ambito regionale e meridionale. La vite, in definitiva, è il segno che consente di leggere l’identità culturale e sociale dell’intera comunità sannita.

La scoperta del territorio
Dalla visita ai vigneti al primo seminario condotto magistralmente da tre personaggi che hanno fatto da guida per tutto il tour: Libero Lillo (presidente del Consorzio Sannio DOP), Nicola Matarazzo (direttore) e Pasquale Carlo (addetto stampa Sannio Dop).
Con l’ausilio di diapositive ben realizzate e mai banali abbiamo potuto scoprire la storia dei vini sanniti e del paesaggio beneventano: “La provincia di Benevento è nel cuore dell’Appennino Sannita che fa parte dell’Appennino meridionale. Territorio di confine e di transito naturale quando dalla costa tirrenica ci si sposta a quella Adriatica e viceversa: confina a sud con l’Irpinia, a ovest con il Casertano, a nord con il Molise e a Est con la Puglia. Le sue caratteristiche morfologiche, storiche e antropologiche sono talmente uniche che per un momento, dopo l’Unità d’Italia, si pensò di creare una regione a parte, Sannio appunto. Ha sicuramente inciso l’essere stata nel corso dei secoli una enclave dello Stato Pontificio.
La valle del Calore, dove oggi si concentra la maggior parte delle aziende e della produzione di uva, in origine era un bacino chiuso occupato da un lago, di cui il Calore, il Tammaro ed il Sabato erano affluenti. I terreni sono costituiti in massima parte da elementi argilloso- calcareo – silicei, con qualche raro masso erratico di granito nel Fortore. Non sono rare invece le concrezioni conchiliacee e le incrostazioni ittiche (Pietraroja, Castelfranco in Miscano), i giacimenti di marmi colorati (Vitulano, Cautano, Paduli), e di selci trasparenti e calcedonio comune. Non mancano in zona, come in quasi tutta la Campania, i segni di attività vulcanica, come nelle aree Vitulanese, Telesina e Galdina. Nell’area Telesina e Titernina, poi, oltre alle sorgenti d’acqua termali e minerali, vi sono grandi giacimenti di tufo grigio, formati evidentemente da ceneri vulcaniche, e di lignite (Pietraroja), che è indizio dell’origine vulcanica di quei terreni. Nel settore nord-est, tra il Tammaro ed il Fortore, non vi è nessuna traccia di terreno vulcanico oltre al tufo di Monte Caffarello, in quel di San Marco dei Cavoti. Bisogna andare al di là del Fortore nella regione Galdina, per trovare un’altra zona vulcanica. Nel sito detto “Fontane Padule”, ad est di San Bartolomeo in Galdo e tra il bosco Montauro ed Alberona, si trovano ad una certa profondità pomici, scorie, pezzi d’ossido nero di manganese e di ferro fuso in forma spirale, oltre a strati di torba papiracea, un’immensa quantità di piriti e strati di ferro carbonati litoide. Il paesaggio sannita è caratterizzato da innumerevoli segni lasciati dalle culture che si sono succedute nel tempo – il suo “deposito di storia” che testimonia il passato, il presente e il futuro – ma anche da una forte vocazione vitivinicola, segni e vocazioni territoriali che identificano la sua impronta ambientale e culturale.
Diecimila ettari vitati, settemilanovecento vignaioli, circa cento aziende imbottigliatrici per oltre un milione di ettolitri di vino prodotto, tre denominazioni di origine e una indicazione geografica per più di sessanta tipologie di vini, un potenziale di cento milioni di bottiglie, sono gli elementi salienti del vigneto Sannio, che assegnano alla provincia beneventana il primo posto nel comparto vitivinicolo della Campania (circa il 50% della superficie viticola e della produzione vinicola regionale). Aglianico, Sommarello, Piedirosso, Sciascinoso, Agostinella, Falanghina, Cerreto, Coda di volpe, Grieco, Malvasia, Fiano, ma anche Passolara di San Bartolomeo, Olivella, Carminiello, Palombina, Moscato di Baselice, sono solo alcuni esempi del patrimonio della biodiversità sannita”.


La degustazione di vini bianchi
A seguire presso il Ristorante Locanda Radici di Melizzano si è tenuta una degustazione di 5 vini bianchi Coda di Volpe, 5 Greco, 6 Fiano, 4 rossi da uve Piedirosso, 10 vini Sannio DOP e tre vini da dessert Moscato di Baselice. Una scelta ben calibrata, vini che ci hanno aperto gli occhi su questa terra che ancora non ha avuto momenti per presentarsi al grande pubblico della carta stampata. Perché qui, a detta dei responsabili, di vini in cantina non se ne trovano. Pranzo spartano ma ben curato e con di prodotti locali di assoluta eccellenza; quindi partenza per Sant’Agata dei Goti, dove abbiamo visitato l’Antico borgo medievale con il ponte antico e cena a Casa Rainone della Famiglia Mustilli (una casa nella cantina, da vedere se si è in zona).
A Guardia Sanframondi, abbiamo avuto l’opportunità di visitare i vigneti dell’area del Titerno e la locale Cantina La Guardiense, fondata nel 1960, che da 12 anni si avvale della consulenza di Riccardo Cotarella; 1000 soci che lavorano 2968 ettari dei 10.000 ettari totali di Falanghina. Una cantina tra le più importanti del territorio. Da tenere presenti i loro vini della linea base Janare (le streghe) e la selezione Cantari, da uve aglianico vendemmia tardiva che ha frutti freschi rossi, potenza, struttura, con tannini equilibrati e balsamicità da vendere.
All’enoteca Castelvenere dell’azienda Castelle, si è tenuto il secondo seminario sulla Falanghina con la presentazione del libro: Nel Sannio coltiviamo emozioni, viaggio attraverso la storia, la cultura e i paesaggi della vitivinicoltura del Sannio Beneventano, corredata dalla degustazione dei vini a Denominazione di origine Falanghina del Sannio DOP. 31 vini di sola Uva Falanghina nelle annate 2016 e 2015 con qualche bottiglia anche di spumante, davvero in grado di competere con quelli di zone del Nord più conosciute. Al termine, il trasferimento a Puglianello, all’Osteria Pizzeria Il Foro dei Baroni, dove il maestro pizzaiolo partenopeo Gino Sorbillo ha dato vita, sapore e gusto con le sue pizze ‘Le mani in pasta’, per farci scoprire tutti i segreti dell’arte della pizza napoletana. Il tutto nell’ambito del progetto ‘Pizza&FalanghinadelSannio’ che ha visto lo stesso Sorbillo girare il mondo.
Un’altra interessante tappa quella a Cerreto Sannita, con la visita della cittadina e dei laboratori delle ceramiche e del Museo Civico della Ceramica Cerretese. Assolutamente da suggerire per almeno una volta nella vita. Il ritorno a Benevento è stato delizioso grazie alla cena Da Nunzia, tipica trattoria, locale Slow Food. Si mangia come una volta con ricercatezza e attenzione mediterranea per una buona salute, confermando ciò che si legge sul biglietto da visita: “…la buona, sana, saporosa cucina di casa nostra, in trattamento familiare a prezzi contenuti”.

Una vigna di Aglianico di 200 anni
La conclusione del tour ci ha portati in direzione Foglianise, con la visita ai vigneti storici dell’area del Taburno. La grande sorpresa è stata quella di poter visitare la vigna antica di Aglianico di circa 200 anni, in località Pantanella-Ponte Russo, di 1,4 ettari allevata a raggiera etrusca, e ancora coltivata dal contadino Giuseppe Piazza di 99 anni, dalle cui uve si ricava il famoso vino Aglianico del Taburno DOCG Bue Apis, cru della Cantina del Taburno. Da sola questa visita vale un viaggio e se poi ti fanno anche provare il Bue Apis, l’immaginazione va oltre ogni vino che tu puoi avere nel bicchiere.
La Cantina del Taburno, situata alle pendici del monte del Taburno, è di proprietà del Consorzio Agrario di Benevento. Quest’ultimo, fondato nel 1901, ha svolto nell’arco di un secolo un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’agricoltura sannita. Situata nel comune di Foglianise, è stata realizzata nel 1972. Per la filosofia produttiva che da sempre contraddistingue l’azienda e per le ricadute economiche sul territorio che essa determina, costituisce un punto di riferimento per la viticoltura della zona. Le uve vinificate dalla Cantina del Taburno provengono da circa 600 ettari distribuiti nei territori dei 13 comuni ubicati alle pendici della montagna: Foglianise, Torrecuso, Vitulano, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Apollosa, Bonea, Montesarchio, Ponte, Tocco Caudio, Cautano, Paupisi e Benevento. L’ecosistema viticolo di tale territorio è molto singolare, sia per la natura e l’esposizione dei terreni, sia per le particolari condizioni climatiche, sia per i vitigni e le tecniche agronomiche adottate. I terreni collinari, argillosi e calcareo-marnosi, gli inverni miti con una regolare distribuzione delle piogge tra ottobre e marzo, le estati calde e asciutte, contribuiscono a creare condizioni estremamente favorevoli per una viticoltura di qualità.
Infine, ci siamo spostati a Torrecuso, presso la Cantina Fontanavecchia, dove si è tenuto il terzo seminario-degustazione dei vini a Denominazione di origine “Aglianico Sannio Dop” e “Aglianico del Taburno Docg”.
L’Aglianico è il vitigno a bacca nera più diffuso nel Sannio Beneventano. Identifica perfettamente la vitivinicoltura sannita, essendo da secoli coltivato nelle aree a maggiore vocazione della provincia, dove si è adattato in maniera perfetta ai diversi ambienti collinari. La coltivazione secolare del vitigno ha selezionato l’Aglianico biotipo Amaro, da cui si ottengono alcuni dei vini sanniti più affermati e prestigiosi, primo fra tutti l’Aglianico del Taburno D.O.C.G. nelle tipologie rosso, rosato (l’unico rosato a D.O.C.G. italiano) e riserva, prodotto nei 13 comuni sanniti. Vitigno robusto di discreta fertilità delle gemme e abbondante produzione. Si adatta bene all’allevamento a spalliera ed ai diversi portainnesti. Vino importante, che si accompagna a pietanze strutturate, a carni rosse e formaggi stagionati non piccanti ma, se di grande qualità, è anche un ottimo vino da meditazione.
A noi è stata riservata la degustazione pilotata di vini rossi: 9 Sannio Aglianico DOP e 25 Aglianico del Taburno DOCG. Un vero tour de force pieno di grandi soddisfazioni. Dopo la pausa “pranzo contadino” con forme di formaggi diversi, con pane da antichi grani e con olio extravergine di oliva da cultivar “Ortice”, c’è stato il rientro a Benevento.
In serata cena alla Locanda della Luna di San Giorgio del Sannio (chef Daniele Luongo) con alcuni produttori e alcuni rappresentati della comunità montana e amministratori locali. Momenti di riflessioni con scambi di visioni sui punti di forza e sulle criticità del territorio e del sistema-vino sannita visti da tredici giornalisti di varie testate.
Un Tour sicuramente tra i più “intellettuali” e meglio organizzati, anche tenendo conto dei giusti tempi e orari, cosa difficile da tener in considerazione in tour al Sud. Sicuramente da ripetere per ampliare ancor di più la conoscenza su questa terra “emozionale”.