Insegnante, collezionista di lauree, amante dell’arte, esperta di geroglifici, organizzatrice di viaggi, studiosa del linguaggio della moda

di Giangi Cretti

Conosco un’Anna Canonica che insegna, che dell’italiano ha fatto ragione di lodevoli battaglie. Ne conosco una che si interessa di arte, autrice di un libro nel quale racconta perché il Rinascimento è nato a Firenze. Questa è stata una bella esperienza… Ma com’è nata?
Da una semplice idea. Tutti parlano del Rinascimento. Ci sono migliaia di libri su questo importante periodo storico, ma nessuno si è mai chiesto del perché sia nato a Firenze e del perché proprio in quel periodo. Ho voluto scavare per scoprirlo. Sono finita negli Archivi Segreti Vaticani. È stato interessante. Sono stata otto giorni a lavorarci.

Ha vissuto le atmosfere del Codice da Vinci?

Peggio. Ho scoperto che ci sono documenti a cui nessuno ha accesso, solo il Prefetto. Sono andata lì in cerca di documenti di coloro che hanno iniziato la loro avventura come banchieri non a Firenze, ma a Roma, come banchieri papali e di tutta la Curia. Purtroppo non sono riuscita a trovare quasi nulla, anche perché c’è un’enorme confusione nell’archivio. Ci sono due stanze solo di libri con elenchi di documenti, schedari. Sono stata due giorni a sfogliargli in cerca di documenti. Per entrare negli Archivi Segreti del Vaticano ho inviato la richiesta. Mi ero informata su come scrivere al Prefetto: “Sua Eccellenza Illustrissima” eccetera eccetera. Non si possono scrivere delle lettere normali, bisogna attenersi a tutte le titolature ufficiali, ancora oggi valide. Ho ricevuto l’ok. Arrivata agli Archivi mi hanno chiesto: “Quando vuole iniziare?”. Io ho risposto: “Subito”. “E quanto vuole restare?”. “Perché potrei anche a lungo? Io ho già prenotato l’aereo di ritorno, quindi posso restare solo otto giorni”. Mi hanno dato il pass per otto giorni. Poi mi hanno chiesto: “Vuole entrare solo la mattina o anche il pomeriggio?”. La domanda mi era sembrata strana, poi ho scoperto che la mattina possono entrare al massimo 40 persone, mentre il pomeriggio solo 8. E così ho fatto ricerche per giornate intere.

Ha vissuto una sorta di esperienza nell’esperienza. Ma torniamo al Rinascimento. Perché nasce a Firenze?
Per una serie di combinazioni. È partito tutto dalla letteratura, da Dante, Petrarca, dal volgare, dal fatto che i fiorentini usavano una loro lingua volgare, scrivevano in questa lingua ed erano aperti a saperne di più. Hanno cominciato per primi a cercare scritti in latino e in greco. Infatti, la prima università dove si è cominciato a studiare il greco antico con scritti originali portati da Costantinopoli, è stata Firenze. Ovvio il ruolo dell’arte, perché in tutta la Toscana c’erano ancora reperti della Roma antica. Una cosa che oggi non si sa è che attorno al Battistero di Firenze c’erano ancora vecchi sarcofagi romani, che i fiorentini vedevano ogni giorno e quindi consideravano una cosa normale. Tutti pensano che il Rinascimento sia partito dalla pittura, invece è nella scultura che trova la propria origine.

Per approfondire la cosa, invitiamo tutti a leggere il libro, nel quale vengono evidenziati il ruolo della donna, e ovviamente dei Medici, banchieri, mecenati… Anche quello della Chiesa. All’epoca c’erano in contemporanea tre Papi. Uno di questi era ad Avignone, uno a Roma, e l’altro tra Pisa e Bologna. Quest’ultimo, oggi considerato un antipapa, si chiamava Cossa, proveniva da una famiglia di pirati originari di Ischia, e aveva avuto la possibilità di studiare poiché finanziato dai de’ Medici. Durante il Concilio a Costanza (1414-1418) tutti e tre hanno dovuto abdicare. Dopo quattro anni di litigi, la scelta è caduta su Ottone Colonna (Martino V), che tra l’altro non era neanche prete. Quando ho letto questa notizia tra le carte che avevo accumulato, alcune anche inviate dall’archivio di Costanza, mi sono chiesta: “Com’è possibile che uno diventi papa in tre giorni, uno che tra l’altro non è neanche prete?”. Presumo che i banchieri fiorentini siano riusciti a mettere d’accordo tutti grazie anche alla forza persuasiva del denaro. Ma questa, ripeto, è una supposizione.

Nel suo curriculum ho letto che lei è un’esperta di geroglifici. Da dove nasce questa passione?
Ho frequentato le scuole elementari e la prima media a Milano. C’era un’insegnate di storia e letteratura, già all’epoca ultra settantenne; lei mi ha trasmesso la passione per l’antichità. Quando poi ho iniziato gli studi a Zurigo, decisi di studiare ciò che mi interessava. Per questo ho deciso di fare anche egittologia e questo mi ha portato ad imparare i geroglifici. Quando ho insegnato al liceo Rychenberg di Winterthur, uno dei prorettori mi chiese: “Che ne dici se mettiamo su qualcosa dell’Antico Egitto?”. Io gli ho risposi: “Guarda, non saprei. Io l’ho studiato, ma non so se sono in grado di insegnarlo”. “Ce la fai, ce la fai” fu la sua risposta. E così, ho cominciato anche ad insegnare l’antico egizio. I ragazzi ne erano assolutamente entusiasti. L’ultima cosa che ho fatto, prima che arrivasse il Bildungsdirektor, ed eliminasse le materie facoltative, abbiamo tradotto i nomi dei faraoni. Tra l’altro, nessuno ha pubblicato una cosa del genere fino ad ora. Forse un giorno lo tiro fuori e lo lascerò pubblicare, perché non c’è una pubblicazione con la traduzione dei nomi di tutti i faraoni. Cosa che invece noi abbiamo fatto.

I geroglifici riproducono immagini, sono una specie di ideogramma?
Anche. C’è l’alfabeto, però senza vocali. Non sappiamo come gli egizi abbiamo pronunciato le parole. Inoltre, c’erano anche gli ideogrammi che venivano aggiunti all’alfabeto e così si formavano le parole e le frasi. Purtroppo non c’era l’interpunzione. C’era la cosiddetta scrittura sacra, ossia i geroglifici che vediamo ancora tuttora sui monumenti. E ancora una scrittura, il corsivo, utilizzato negli scrittoi per i documenti. Quest’ultima non aveva nulla a che fare con i geroglifici, perché era una scrittura usata per scrivere in fretta. Ha un’altra forma rispetto ai bei geroglifici che siamo abituati a vedere. Dopo la morte di Alessandro Magno, quando i Tolomei sono saliti sul trono d’Egitto, che rappresenta l’ultima fase prima che l’Egitto diventasse colonia romana, l’antico greco si è fuso con l’egizio corsivo. La famosa Stele di Rosetta da cui è partito Jean-François Champollion è scritta in tre lingue, perché appunto tre diverse lingue presenti durante il Regno dei Tolomei.

Quindi quella sacra, quella d’uso corrente e quella invece….
… mischiata con il greco, che ha permesso a Champollion di decifrare i geroglifici. Partendo da quello, è andato a vedere i nomi dei faraoni menzionati nel tratto scritto con i geroglifici e ha decifrato le prime lettere.

Veniamo a quello che è il suo lavoro più recente. Una nuova pubblicazione sulle parole della moda, un piccolo dizionario dell’eleganza, presentato al Salone del Libro di Torino dello scorso anno, che è l’attualizzazione di un suo lavoro del ’94. Perché questo interesse per la moda?
Non per la moda in sé. Mi spiego meglio. Quando ero all’Università di Zurigo, ho seguito con il guru della sociolinguistica di allora, Gaetano Berruto, un seminario sui linguaggi settoriali. Siccome nessuno aveva mai affrontato il tema della moda da questa prospettiva e dato l’interesse che tutti i ragazzi di vent’anni dimostrano, ho pensato vediamo che c’è sotto. Ho cominciato così. Ho raccolto tanto materiale ed è diventato poi il mio lavoro di diploma. Dal lavoro di diploma, è diventato lavoro di dottorato pubblicato nel ’94. Se per il dottorato mi ero limitata alle prime tre lettre dell’alfabeto, la casa editrice mi ha detto che non potevano pubblicare solo tre lettere, bisognava farle tutte (ride). Allora ho fatto avanti e indietro Zurigo-Italia, frequentando fiere di moda, giornalisti, sarti, sartorie, stilisti. È stato un lavoro di sei anni. Perché vent’anni dopo ha deciso di riprenderlo? Perché qualche giorno prima di Natale 2015, mi ha telefonato l’editore Franco Cesati chiedendomi: “Non hai scritto qualcosa una volta sulla moda?”. “Si ma tanti anni fa!“ “Volevamo uscire con una nuova collana facilmente leggibile e volevamo iniziare con un libro sulla moda”. Fino a quel momento Cesati era prettamente un editore scientifico. Inoltre aggiunse: “Potresti scrivere qualcosa?”. “Guarda io da vent’anni non mi occupo più del tema. Non so se rendo l’idea. Proprio zero. Né il linguaggio della moda, né moda, né niente.” Visto che l’ultima cosa che avevo appena terminato era il Rinascimento (ride). “Ma potresti cercare di scrivere qualcosa?”. A quel punto ho accettato, ma avevo dimenticato di chiedere quanto tempo avevo. Telefono di nuovo. “Quando dovrei fornire…?” “Dopo le Feste”. Eravamo a Natale… (ride). Per combinazione, proprio a Natale e a Capodanno saltò improvvisamente un viaggio negli USA. Se non fosse successo, non sarei mai riuscita a scrivere nulla. Ho passato Natale e Capodanno alla scrivania. Le serate le trascorrevo con il mio iphone, dove ho aperto per la prima volta in vita mia facebook. Ho cominciato a lavorare da lì. Ho scaricato le riviste Harper’s Bazaar, Vogue, Elle… tutte le riviste di moda in italiano e in inglese e ho cominciato a leggere cosa stabva succedendo nel linguaggio della moda. Lavorandoci, ho pensato che andasse corredato con la storia della moda italiana. È importante chiedersi come sia nata l’avventura della moda italiana, visto che fino ad un certo punto la moda apparteneva esclusivamente ai francesi. Poi ecco che grandi firme, come Versace, Armani e tante altre sono cominciate a sbucare, tutti nello stesso periodo, uno dietro l’altro, come i funghi dopo la pioggia a fine estate. Ho scritto su questo tema. Poi ho pensato di aggiungere un capitolo sulla moda e sul cinema, che sono legati strettissimamente.

Certo è che nel linguaggio della moda il francese l’ha fatta da padrone.
Infatti, io non sono fascista, ma se non ci fosse stato Mussolini, noi oggi useremmo esclusivamente terminologia francese. È stato lui che ha imposto l’uso di parole italiane al posto delle parole francesi. Senza questo taglio, probabilmente oggi le sfilate di alta moda si svolgerebbero esclusivamente a Parigi.

C’è questa parte introduttiva, che ha un impianto divulgativo. Ce n’è un’altra interessante sulla formazione delle parole. Con tutte queste voci che richiamano sia elementi di natura geografica sia il mondo animale. L’ho trovato molto simpatico. In realtà, il dizionario costituisce la seconda parte del volume, dove per ogni voce si trova la propria spiegazione. Questo diventa uno strumento che sicuramente è utile per chi è addetto ai lavori a vari livelli, ma diventa anche un modo, per chi, profano al di fuori di questo mondo, fosse semplicemente interessato.
Si, perché noto sempre che certe parole, soprattutto nel linguaggio della moda, vengono utilizzare senza sapere cosa stiano a significare. Ho preso solo le parole basilari. Tra di esse, ho dovuto constatare che negli ultimi vent’anni il linguaggio della moda è cambiato tantissimo. Ho dovuto inserire tante parole inglesi, che nel mio lavoro pubblicato nel 94 non c’erano. Il linguaggio della moda era prettamente italiano e francese. Parole inglesi ce ne erano pochissime. Oggi si è ribaltato tutto. Parole francesi quasi non ce ne sono più, quelle che ancora sopravvivino sono diventate internazionali. L’inglese ormai sta sovrastando tutti. Sta diventando una lingua veicolare anche nella moda.