A colloquio con Andrea Ermanno

di Giangi Cretti

Basterebbe l’età per annoverarla fra le testate storiche.
Ha visto nascere e morire il “secolo breve”, un paio di rivoluzioni, altrettante guerre mondiali, alcuni partiti storici. Dapprima come pubblicazione sindacale, assumendo, nel volgere di poco più di un decennio, un profilo più marcatamente politico. Proiettandosi nel 21esimo secolo ha mutato confezione: abbandona la carta per affidarsi alla virtualità dell’elettronica.
Invariato rimane lo spirito, sempre ancorato ai principi del socialismo umanista.
Delle fasi salienti, che hanno caratterizzato questo lungo percorso, abbiamo parlato con Andrea Ermano, attuale direttore dell’Avvenire dei Lavoratori.


Perché nasce in Svizzera una testata come l’ADL?
Nasce in seguito ai vari “pogrom” anti-italiani che stavano avvenendo in varie città europee e che si ripeterono, da ultimo, a Zurigo nel 1896.

Che cosa succede a Zurigo nel 1896?
Il 26 luglio nel quartiere operaio di Aussersihl scoppia un tumulto “a seguito di una rissa in cui un Alsaziano era morto accoltellato da un muratore”, si legge nel Dizionario storico della Svizzera. E, come già a Berna nel 1893 durante la rivolta del Käfigturm, la collera popolare si scatena contro gli Italiani per poi dilagare a tal punto che le autorità elvetiche decretano l'intervento della polizia e dell'esercito.

Che cosa rivendicavano gli insorti zurighesi?
Fu una protesta “priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l'espressione di una crisi legata alla modernizzazione”, è la risposta del Dizionario storico della Svizzera, che accenna alla condizione dei nostri connazionali di allora, perlopiù stagionali impiegati nell'edilizia, i quali divennero il capro espiatorio di un profondo disagio “causato dai rivolgimenti economici e sociali dell'epoca.”

Non un “semplice” rigurgito xenofobo, dunque?
Sì e no. Nelle analisi dei fondatori dell’ADL la ragione di quei tumulti risiedeva “materialisticamente” nella concorrenza salariale dei nostri migranti verso i lavoratori autoctoni. Da ciò conseguiva, per il PSI in Svizzera guidato allora da Giacinto Menotti Serrati, la necessità di costruire un sindacato in loco anche per chi parlava solo l’italiano.

Quindi l’ADL nasce come foglio sindacale?
Sì. Insieme all'Unione sindacale e alla Federazione Muraria, il PSI in Svizzera fonda questo giornale come organo di stampa comune, che inizia le pubblicazioni nel settembre del 1897, un anno e un mese dopo gli Italienerkrawalle: un giornale che aspirava a sostenere i nostri connazionali in una visione piuttosto vasta dei diritti sociali e sindacali.

Sin qui l'ispirazione e potremmo dire l'aspirazione ideale che ha caratterizzato e ancor caratterizza la ragion d'essere della testata…
…testata che all'atto di nascita si chiamava Il Socialista, come ricorda Claude Cantini nel suo Quaderno sulla stampa italiana in Svizzera. Con il 1° luglio 1899 muterà poi in L'Avvenire del lavoratore, al singolare, per diventare, infine, nel 1944 L'Avvenire dei lavoratori, al plurale.

Se ripercorriamo la lunga storia della pubblicazione, quali sono le “fasi” salienti della sua evoluzione?
Dopo una prima fase dedicata alla fondazione del sindacato in lingua italiana, la linea editoriale si orienta su tematiche sempre più politiche. E con lo scoppio della prima guerra mondiale, sotto la direzione di Angelica Balabanoff, segretaria generale del movimento di Zimmerwald, abbraccia la causa pacifista.

La Balabanoff porta in dote anche uno stretto collegamento con le due Rivoluzioni in Russia del 1917.

Sì, ma poi, in questa “seconda fase”, l'originario entusiasmo per la rivoluzione russa si raffredda gradualmente, fino a spegnersi. Dopo la sanguinosa repressione bolscevica della rivolta di Kronstadt, Angelica abbandona la Russia e rientra in Occidente. Intanto, nel biennio 1921-1922 lo stato liberale italiano abdica di fronte a Mussolini.

La “terza fase” sarà caratterizzata, dunque, dall’opposizione al fascismo.
Senza dubbio. L'ADL deve assumere su di sé i compiti legati al proprio nuovo status: l'essere rimasta l'unica testata libera della politica italiana. Gli altri giornali di partito vengono soppressi dal regime. Don Sturzo viene esiliato a Londra con avvallo papale. La stampa collegata al Pci è assoggettata ai diktat staliniani.

È il periodo della “doppia testata”, quando sulla prima pagina campeggia l’Avanti! con la dicitura L’Avvenire del lavoratore in sottotitolo.
Dopo l’incendio e la chiusura dell'Avanti! milanese, la redazione si riorganizza a Parigi intorno a personalità come Nenni, Saragat e Pertini. Nasce la coedizione con l'ADL, che in Svizzera è una testata legale e che fornisce il sostegno economico e la struttura amministrativa. Il lavoro giornalistico e politico dell'Avanti!-ADL procede bene fino all'estate del 1940, quando le armate hitleriane occupano la Francia. E allora il “Centro estero” è trasferito a Zurigo, sotto l’egida di Ignazio Silone, esule in Svizzera.

Silone era uscito dal Partito Comunista nel 1927 dopo un diverbio con Stalin e era riparato in Svizzera. Godeva di grande fama internazionale grazie al suo romanzo Fontamara, un successo mondiale, e conduceva una vita abbastanza ritirata. Perché riprese l’attività politica in prima linea?

Fontamara fu un enorme danno d’immagine per Mussolini. La vita ritirata dipendeva dallo status di rifugiato. Romanzo nel romanzo: Fontamara fu una specie di “terapia della scrittura” che Silone intraprese dopo la tremenda crisi personale per la morte in carcere del fratello Romolo. Nei primi anni Trenta frequentò Carl Gustav Jung e non escluderei che nel confronto con il grande psicoanalista possa essere nata la determinazione di sposare la vocazione letteraria. Ma questo non significa che Silone avesse abbandonato l’impegno, i contatti clandestini con i socialisti, dopo l’abbandono del PCdI, andavano avanti da sempre. Ettore Cella mi ha raccontato che l’incontro di Enrico Dezza, suo padre e allora presidente del Coopi (Il Cooperativo è lo storico ristorante zurighese, punto d’incontro di tutto il mondo progressista - ndr), con Ignazio Silone era avvenuto a Davos già alla fine degli anni Venti. In Svizzera Silone stringerà amicizia con Fernando e Giulia Schiavetti, che stavano mettendo in piedi la Scuola Libera Italiana. Con loro condivide l’ammirazione per le idee di Carlo Rosselli.

Saranno queste le sue idee-guida una volta giunto alla direzione dell’ADL e del "Centro Estero"?
Silone si considera un “liberal-socialista”, un rosselliano. Da Zurigo avvia un importante tentativo di rinnovamento del socialismo italiano. Lo fa di concerto con Eugenio Colorni, impegnato a Roma nelle attività del “Centro Interno” e del nuovo Avanti! clandestino. Come scrive la studiosa Ariane Landuyt, questo tentativo s’impernia sull'idea degli “Stati Uniti d'Europa”. Colorni, però, cade nell'aprile 1944 in uno scontro a fuoco con le milizie fasciste. Nel 1945 Pertini, Saragat e Silone conquistano per una breve stagione la maggioranza nel partito, ma poi prevarrà l'asse neo-frontista e l'idea degli “Stati Uniti d'Europa” verrà archiviata, a sinistra, per decenni…

Se non sbaglio, le “fasi” finora enumerate sono quattro…
La “quinta fase” dell’ADL – quella del secondo Dopoguerra – è caratterizzata da importanti personalità del socialismo ticinese che, come Ezio Canonica e Dario Robbiani, si battono contro la xenofobia ritornata in auge a partire dagli anni Cinquanta, durante l'ondata migratoria proveniente soprattutto dal Mezzogiorno d'Italia. Canonica, chiamato a Zurigo per dirigere l’ADL, diverrà uno dei maggiori leader sindacali del Dopoguerra, e sconfiggerà sul campo le iniziative anti-stranieri di Schwarzenbach. È un momento epico, come ricorda Dario Robbiani in Cìnkali, il libro-testamento in cui raccoglie con memoria agro-dolce le vicende di quei decenni di scontri tra “destra” e “sinistra”…

La “sinistra” è una categoria che ha ancora un senso oggi, mentre si diffonde la convinzione che, al pari della sua controparte di “destra”, sia un retaggio del passato?
Il collettivismo sovietico e il “pensiero unico” neo-liberista sono eccessi ideologici che nulla tolgono al tema del pluralismo o della pari dignità. Questa è una questione fondamentale che non riguarda solo la “questione sociale” o del “lavoro”, ma anche il “gender”, i rapporti “post-coloniali” e molto altro ancora. Anche la “destra” ha un suo senso costituzionale nei principi del merito, dell’eccellenza e di una sana competizione. Né il "pilota automatico" della tecnocrazia né la "questione morale" possono risolvere il problema della decisione politica. In Italia, la Seconda Repubblica – inaugurata dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989, dal crollo dell'Urss e dalla crisi di “Tangentopoli” – ha portato alla fine del PCI, della DC e anche del PSI. Noi non disconosciamo il desiderio di efficienza e di moralizzazione che aveva mosso l'opinione pubblica all'epoca di “Mani pulite”, ma le spinte demagogiche sviluppatesi dal 1992 hanno destabilizzato e continuano a terremotare le istituzioni. Nel nostro Paese lo stato della “politica” è miserevole, ma ricadere nella pre-politica non potrebbe che fomentare il temibile stato di conflitto "tutti contro tutti". L'ADL oggi offre questa lettura della realtà.

E i lettori? Chi erano e chi sono?
Oggi la nostra Newsletter è distribuita in posta elettronica e i lettori sono sparsi nelle varie comunità italofone, con un nucleo prevalente di lavoratori e intellettuali di sinistra in Italia e nei vari cantoni della Svizzera. Un secolo fa l’ADL raggiungeva una tiratura di diecimila copie ed era molto diffuso tra i nostri connazionali qui. Oggi lo trasmettiamo a circa cinquemila recapiti e-mail in questo Paese, trentamila in Italia e a circa quindicimila presso le altre comunità italiane nel mondo, dal Canada all’Argentina, dalla Francia all’Australia. Dopodiché, molta posta elettronica viene “spammizzata” e comunque, a fronte dei problemi sul tappeto, le nostre forze sono quasi del tutto trascurabili. Ma – “non mollare!”, diceva Carlo Rosselli – abbiamo scelto di andare in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana. Perché la lunga storia del socialismo umanista è un patrimonio ideale che appartiene a tutti, e che riteniamo ineludibile per uscire dall'attuale “costellazione weimariana”.