di Enrico Perversi

Una delle cose di cui più spesso ci si dimentica in azienda è in realtà molto banale: noi giudichiamo noi stessi dalle nostre intenzioni ma giudichiamo gli altri in base all’effetto del loro comportamento su di noi. L’effetto non è l’intenzione e così sorgono malintesi, rancori, conflitti. In fondo basterebbe parlarsi, spiegarsi, tuttavia queste conversazioni spesso non avvengono tanto da venir definite “difficili” e c’è qualcuno che ci ha lavorato sopra per fornire qualche strumento a chi è animato di buone intenzioni ma non riesce a tramutarle in comunicazione efficace. Gli esempi di quello a cui mi riferisco non mancano di certo: la richiesta di promozione al capo oppure un chiarimento con un collega su una procedura controversa con responsabilità non chiare oppure una valutazione negativa sull’operato di un collaboratore in difficoltà. Tre ricercatori di Harvard, Douglas Stone, Sheila Heen e Bruce Patton, hanno definito che gli argomenti ostici da trattare, ma soprattutto le emozioni ad essi collegate, a volte nascondono la vera posta in gioco per noi, andando un poco sotto la superficie ci si può rendere conto che si parla di valori profondi arrivando addirittura alla nostra identità.

Vi propongo un esercizio: provate a pensare ad una conversazione difficile del vostro passato oppure anche ad una che non è avvenuta ma che avreste dovuto avere, passate poi ad analizzare la situazione strettamente dal vostro punto di vista cercando di descrivere i fatti, se vi è utile potete anche scrivere. Ora avete tutto quanto vi serve per affrontare la parte interessante, ed anche più difficile: quali sono le emozioni in gioco? Se avete pensato ad un caso reale non è raro che vi vengano in mente pensieri, riflessioni, forse ci avete rimuginato parecchio. Per esempio per quanto tempo avete preparato la frase di apertura per chiedere quel benedetto aumento di stipendio che tanto vi stava a cuore? Le emozioni po-trebbero portarvi ben lontano dal semplice contenuto della vostra richiesta e chiarirvi motivazioni, aspettative, valori. Infine ecco la vostra identità che fa capolino, chiedetevi infatti cosa rivelano di voi contenuti ed emozioni della conversazione difficile che state analizzando? Anche in questo caso potrebbe essere utile scrivere e prendervi il tempo che serve per una riflessione. Adesso rifate il percorso utilizzando però il punto di vista del vostro interlocutore, descrivendo i fatti, individuando le sue emozioni e che cosa di lui si evidenzia. Questo esercizio è tutt’altro che facile, richiede attenzione e consapevolezza di sé e degli altri, ci si arriva con l’allenamento sull’intelligenza emotiva che è proprio la capacità di monitorare emozioni e sentimenti proprie ed altrui, valutarle, utilizzarle per indirizzare pensieri ed azioni. 

Stone, Heen e Patton individuano 5 fasi per gestire una conversazione difficile: la prima è quella che abbiamo visto, vi dovete preparare con le 3 domande relative a cosa è successo, quali sono le emozioni coinvolte e cosa si rivela di voi e delle vostre competenze. Nella fase successiva dovete poi decidere se sollevare la questione chiarendovi bene cosa sperate di ottenere, perché se ponete un problema è meglio farlo in modo da facilitare una soluzione. Terzo passo: cominciate dalla storia obiettiva che racconterebbe una terza persona disinteressata a conoscenza di tutta la situazione, questo è il terreno del confronto che ha luogo nella fase successiva quando ascoltate con empatia la storia dell’altro e condividete la vostra ma, soprattutto, analizzate come ciascuno di voi la percepisca. Siete finalmente in grado di definire soluzioni che favoriscano gli interessi di entrambi, facendo bene attenzione a tenere aperto il canale di comunicazione che avete creato. Saper affrontare conversazioni difficili è molto utile in generale, per un leader è una delle capacità di base per svolgere il suo ruolo in modo compiuto. A proposito: cosa avete scoperto con l’esercizio che vi suggerito nella prima parte dell’articolo?