di Ingeborg Wedel

La professoressa Lorella Carimali – unica docente italiana – concorre con altre 50 finaliste provenienti da 173 Paesi per ottenere il Global Teacher Prize 2018, una sorta di Oscar per l’insegnamento istituito nel 2015 dalla Fondazione del filantropo indiano Sunnj Varcaj.
Il vincitore riceverà il prossimo 18 marzo a Dubai il premio di un milione di dollari, da reinvestire in progetti legati alla scuola e al sociale.
Essere in lista alla fine della selezione (erano circa 40.000 insegnanti) per fare parte di un’élite di una cinquantina di concorrenti, è già un grande riconoscimento del suo valore.

Ho 55 anni, due figlie adulte: Valentina, 24 anni, laureata in comunicazione, innovazione e multimedialità che lavora in Pubblicità Progresso, e Laura Carlotta laureata in psicologia sociale che vive a Padova dove collabora con l’Università. Sono nata in una casa di ringhiera della Milano “popolare” periferia sud. Mio padre e mia madre erano artigiani pellettieri. I miei genitori hanno sempre mantenuto il loro laboratorio nel cortile della casa in cui sono nata e quindi sono cresciuta proprio lì, in quel cortile insieme a bambine e bambini provenienti da tante regioni diverse d’Italia. Lì ho capito l’importanza della condivisione e ho imparato che l’altro non è una persona di cui aver paura ma un amico, una risorsa e che il futuro lo si costruisce assieme. Alle mie figlie ho insegnato che non si vince da sole e che i nostri successi non sono mai solo nostri ma di tutte le persone che con noi li hanno resi possibili e raggiungibili. Ed è stato questo il mio atteggiamento verso il mondo. L’importanza del gruppo è stata una caratteristica della mia attività d’insegnante. Non sono mai stata una studentessa “geniale”. Solo una che si applicava molto. Per questo ho sempre capito le difficoltà degli alunni e delle alunne.
La passione per la matematica è nata già alle elementari quando senza avere gli strumenti ne percepivo la bellezza e da qui la voglia di trasmetterla agli altri insegnando questa disciplina che per me è una stupenda creazione della mente umana. Mi sono laureata alla Statale di Milano. La matematica, per me, è stata una strada, una guida. Quando finii l’Università mi trovai di fronte alla difficile decisione se tener fede ai miei ideali e rispondere alla mia passione di far comprendere ai ragazzi e alle ragazze la bellezza di questa disciplina o cedere alle lusinghe della carriera e di un riconoscimento economico che difficilmente avrei avuto facendo l’insegnante. Decisi di seguire la mia passione per la matematica e scelsi l’insegnamento ritenendolo un lavoro che mi avrebbe permesso di coniugare impegno sociale e professionalità. Nel mio lavoro ho cercato di sviluppare, in tutti gli studenti e studentesse, quelle competenze matematiche che l’OCSE considera competenze di cittadinanza con una didattica di tipo laboratoriale sperimentando anche diverse metodologie didattiche. I risultati raggiunti in queste sperimentazioni mi hanno convinto della loro validità, e insieme al modello didattico e pedagogico pensato e utilizzato mi hanno portato ad essere tra i dieci italiani finalisti all’Italian Teacher Prize 2017 prima e poi tra quelli del Global Teacher Prize 2018.
Ritenendo fondamentale per una docente l’aggiornamento, la ricerca, il vivere esperienze diversificate e lo scambio di buone prassi, condivido il mio metodo tramite una serie di corsi di formazione per altri insegnanti e mi assicuro che i miei studenti imparino ad essere cittadini del mondo incoraggiandoli a prendere parte a progetti anche fuori dall’aula.
Ho imparato che sogni, passione, impegno, allenamento e gruppo ti possono portare lontano, molto lontano e questi elementi cerco di trasmetterli alle mie classi. Le opportunità di crescita professionale sono arrivate sempre da donne a partire da una dirigente dell’USR Lombardia Giuliana Pupazzoni che mi diede la possibilità di partecipare a progetti innovativi e di ricerca con il professor Bertagna allora consulente della Ministra dell’Istruzione. Ci furono poi Lucia Mazzucca ed Eugenia D’Aquino con cui ho progettato e realizzato esperienze formative innovative e la prof.ssa Assunta Zanetti con cui collaboro ancora oggi in varie attività a partire da quelle orientative. Poi ci fu un’esperienza che mi fece crescere in modo esponenziale e fu l’incontro con Donatella Poliandri dell’Invalsi che mi ha fatto comprendere il valore della ricerca e della valutazione come motore del miglioramento e mandandomi in missione in luoghi considerati difficili ho capito il valore di una frase che è diventata il mio motto “Non uno, non una di meno nella matematica e nella vita”. Attualmente faccio parte del gruppo Ipazia 2.0 della libreria delle donne di Milano dove sto continuando ad apprendere. Il prossimo progetto sarà la pubblicazione, a settembre, di un romanzo che ho scritto con l’aiuto della mia amica Francesca dal titolo “la radice quadrata della vita
”.
Anche a lei la sequenza delle nostre consuete domande

Quanto tempo le è servito per sentirsi apprezzata professionalmente?
L’ambiente scolastico è particolare perché ha una struttura e un’organizzazione totalmente diverso rispetto ad altri ambienti lavorativi. Non ha quadri intermedi, il ruolo dirigenziale è ricoperto da una sola persona: il/la Dirigente Scolastico/a. L’83% dei docenti è donna e questa percentuale sale al 95% nella Scuola Primaria e al 100% nella Scuola dell’Infanzia. Si “produce” cultura e formazione tramite una rete complessa di rapporti. In merito a quest’ultimo aspetto, sono diversi i rapporti da considerare. Il rapporto tra docente e studenti è basato, oltre che sulla stima che il primo si conquista in rapporto alla sua preparazione specifica nella disciplina, e, soprattutto, alla credibilità umana che riesce a trasmettere, all’autorevolezza morale suscitata e all’empatia che stabilisce tra l’adulto e l’adolescente. In questo senso, i ragazzi mi hanno da subito apprezzata, percependo che il mio obiettivo era dar loro gli strumenti per riuscire a diventare ciò che desideravano essere.
C’è poi il rapporto tra docente e famiglie che, nel mio caso, è stato sin da subito positivo, poiché i genitori hanno apprezzato il clima di stretta e continua collaborazione che creo e l’attenzione alle problematiche dei loro figli.
C’è anche il rapporto con i colleghi, che risulta il più difficile, perché comporta condivisione degli obiettivi educativi e cooperazione al raggiungimento dei traguardi condivisi; questo rapporto non dipende però da questioni di genere, ma da differenze personali e di interpretazione del proprio ruolo.
Quello che invece risulta essere difficile è il riconoscimento della professionalità da parte dell’Amministrazione Statale a cui appartengo, intesa come Sistema Scuola nel suo complesso. All’interno di questo sistema non esistono modalità strutturate di riconoscimento delle singole professionalità; questo non solo è svilente per chi innova, ma non mette a sistema il grande know how che esiste nella Scuola. Ne è un esempio il fatto che il riconoscimento della mia professionalità è arrivato dall’esterno e dall’estero. L’unica reale prospettiva di carriera consiste nell’uscire dalla professione docente, accedendo tramite concorso ai ruoli dirigenziali.

Quali sono le principali difficoltà che ha dovuto affrontare?
La Scuola, ahimè, rispecchia il famoso “soffitto di cristallo”. Permangono ancora numerosi stereotipi sulla professione docente, che viene considerata una missione e un lavoro da donne (come testimonia la bassa percentuale di uomini, soprattutto nei gradi scolari inferiori). A differenza della maggioranza delle professioni intellettuali, l’insegnamento è trattato come un impiego e perciò non consente sostanziali sviluppi, né economici né di status, nessun riconoscimento del merito e nessuna valorizzazione effettiva della responsabilità. Inoltre, poiché le ore in classe sono considerate poche, il lavoro di docente viene retribuito con uno stipendio basso.
Tornando al “soffitto di cristallo”: nonostante la maggioranza nel Sistema Scuola sia donna, quando passiamo a ruoli organizzativi, amministrativi e decisionali - in sostanza a “cariche più alte” -, la presenza di uomini sale notevolmente. Questo anche per quanto riguarda i Dirigenti scolastici, per esempio, nella Scuola Secondaria di Primo Grado solo il 55% dei Dirigenti Scolastici è donna. Questo aspetto crea delle difficoltà poiché le decisioni che riguardano la professione vengono prese da persone che non hanno vissuto la Scuola e non la possono interpretare al meglio.

Ha percepito diffidenza nei suoi confronti?

I ruoli amministrativi e decisionali sono, per la grande maggioranza, ricoperti da uomini poiché, nell’immaginario collettivo stereotipico, l’uomo è percepito come più competente, più capace di gestire e prendere decisioni. Questa convinzione e questa diffidenza nei confronti del personale femminile, sono riscontrabili anche in altri ambiti; per esempio, a Ingegneria, la maggior parte degli studenti è uomo, poche ragazze frequentano gli Istituti Tecnici e anche nei confronti della mia disciplina, la matematica, si pensa che le donne vi siano poco portate. Vi è poi, come anticipato nella risposta alla seconda domanda, la questione fondamentale del significato culturale attribuito all’insegnamento. In questo senso, la diffidenza cessa quando la professione docente viene considerata per ciò che effettivamente è, ovvero, in primis, una professione, che ha poi una forte ricaduta sociale e indirettamente economica e che quindi richiede studio approfondito e competenze di vario tipo - e non una missione o un lavoro impiegatizio.

Oltre a quelli già ricordati quali altri ostacoli ha dovuto superare?
Come detto, il lavoro dell’insegnante viene visto più come un lavoro di cura e quindi prettamente femminile, che come una vera e propria professione. Gli stereotipi di genere sono culturalmente radicati e lo sono anche nella nostra mente. Si tramandano da generazioni. Si continua a vedere la professione dell’insegnante come prettamente legata alle donne; secondo l’opinione comune, queste sarebbero più portate all’insegnamento poiché associabili alla figura materna, rassicurante. Viceversa, alcune professioni sono considerate prettamente maschili come l’elettricista, il meccanico, l’ingegnere. In questa situazione conquistare l’autorevolezza è più difficile per le insegnanti donna rispetto ai colleghi uomini. In una scuola così, infatti, molti studenti, soprattutto nelle realtà più difficili, vivono la scuola come un luogo di donne, dalle quali mantengono un certo distacco e diffidenza. Da alcune ricerche emerge come questo crei un allontanamento dalla cultura in generale che viene identificata come femminile, con la conseguenza che “gli uomini leggono meno, vanno meno a teatro e al cinema, rendono meno a scuola in termini di voti e si laureano meno delle donne”. Questo è un fenomeno che penalizza anche i pochi uomini che invece riconoscono l’importanza del valore sociale e culturale dell’essere insegnanti. Si tratta di uomini motivati che però si trovano in un mondo che li tratta con un certo sospetto. Senza contare che, a livello sociale, sono considerati dei lavoratori di serie B. La diminuzione degli uomini nelle professioni legate all’insegnamento è direttamente proporzionale alla diminuzione del prestigio sociale della figura dell’insegnante.

Quanto conta l’arte della seduzione?
Per la natura delle selezioni che vengono fatte nella scuola non conta nulla. Per arrivare a ricoprire il ruolo di Dirigente c’è sempre un concorso da superare, così come per diventare insegnante di ruolo.

Qual è sul piano professionale la soddisfazione maggiore?
Traggo molta soddisfazione nell’esercitare il mio ruolo, poiché sono consapevole che posso dare agli studenti gli strumenti per migliorare la nostra società e posso fornire loro, grazie alla matematica, gli strumenti per restare liberi in un modo sempre più governato da algoritmi e big data. Mi piacerebbe raggiungere una di quelle posizioni decisionali oggi ancora ad appannaggio degli uomini, perché potrei, conoscendo bene la realtà scolastica, avendola vissuta dall’interno per molti anni, riuscire a trovare soluzioni operative che permettano di ridare agli insegnanti lo status sociale che si meritano, riconoscendo questa professione come una di quelle più importanti e motore del cambiamento. Una delle mie soddisfazioni maggiori è vedere realizzarsi le ragazze in quelle materie e in quelle facoltà che sono considerate da uomini. La matematica, l’ingegneria sono da maschi, l’italiano è da donne.

A che cosa ha dovuto rinunciare per affermarsi professionalmente?
Io non ho rinunciato a niente, mi sono solo organizzata meglio.

Quali hobbies riesce a coltivare?
Faccio il mio lavoro con passione e questo mi gratifica. Leggo, mi confronto. Coltivo molto le relazioni umane. E tanto mi basta.