Il sogno bassettiano di un commonwealth italico proietta l’Italia in una dimensione globale in una prospettiva controcorrente rispetto alla dilagante ondata anti-global, protezionista e «sovranista» che impegna politici, intellettuali ed economisti di tutto il Mondo.

Il libro di Piero Bassetti Svegliamoci italici** è una piacevole scoperta, un messaggio lungimirante e carico di speranza rivolto non solo ai giovani italiani desiderosi di ampliare i propri orizzonti professionali identitari e culturali ma anche a quanti in tutto il Mondo, non necessariamente di etnia e cultura italiana in qualche modo si relazionano con le imprese e la cultura italiana.
Bassetti vede l’esistenza di una comunità internazionale che attraverso l’impresa, la cultura e la passione per i prodotti italiani o italian sounding è riconducibile all’Italia ma in essa, in quanto espressione politica statuale, non necessariamente s’identifica e va quindi definita «italica» e non italiana.
Questa visione che Bassetti ritiene avere bisogno di un organico progetto politico che aiuti a definire una nuova identità italica più ampia e forte di quella italiana (ormai superata perché legata al territorio nazionale di stampo risorgimentale), si rivolge quindi ad un potenziale pubblico di 300 milioni di persone e trova nelle Camere di Commercio Italiane all’Estero il suo naturale punto di snodo.
Anche in questo Bassetti è controcorrente, nell’affidare un ruolo così strategico alle Camere Italiane all’Estero, che invece vengono trattate dall’attuale Governo, scivolato sul fronte dell’internazionalizzazione nel più anacronistico dirigismo ottocentesco, alla stregua di circoli delle bocce dediti all’organizzazione di sagre della porchetta.
Di contro Bassetti riconosce loro, in virtù della loro natura ibrida (privata con riconoscimento pubblico) e binazionale, un ruolo non solo funzionale ma anche politico e di proiezione internazionale del Paese.
Per diventare progetto politico tuttavia il Commonwealth degli italici ha bisogno di un’anima come lo stesso Bassetti segnala, un driver che generi entusiasmo nelle nuove generazioni, affinché queste ne facciano un vero e proprio manifesto, una missione di vita.

Leader senza visioni
L’Italia per crescere ha bisogno di riforme, questo lo sappiamo, ce lo ripetono da anni senza che queste vengano concretamente realizzate. Le riforme per avere un senso hanno bisogno di una visione, di un’idea di Paese per il futuro a cui ispirarsi ed a cui ispirare politiche economiche e sociali. Questa visione manca nei nostri leader: se ne avverte l’assenza da anni. La politica vive con un orizzonte di 4 anni se va bene, l’obiettivo primario sembra essere la conservazione del seggio parlamentare e per questo si tendono ad assecondare le paure più profonde nella pancia del Paese, invece di avere il coraggio di indicare una via magari scomoda per il rilancio.
Queste visioni, determinano gli obiettivi e dagli obiettivi discendono misure concrete: questo è il motore della crescita, il senso di una missione che dia linfa all’entusiasmo dei giovani, che liberi il loro talento e la loro energia al servizio di qualcosa per cui vale la pena impegnarsi e lavorare.
Ecco, secondo noi il grande merito di Bassetti è quello di averci restituito questa visione lunga, a saperla leggere, interpretare e calare nella realtà. La visione di un’Italia che ha bisogno del Mondo e che non lo guardi in cagnesco.
Un Italia che per crescere e prosperare, deve imparare ad essere globale. Il mondo cui noi (ahimè soprattutto i giovani) guardano oggi con tanta paura, è invece una terra luminosa, ricca di opportunità; terra di conquista per i nostri prodotti, per il nostro turismo per la nostra arte e cultura la nostra musica. L’Italia per molti è un sogno, come lo era la Roma antica per i popoli lontani ed abbrutiti che aspiravano alla cittadinanza romana per avere dignità di uomini.
Oggi questi «sognatori», dice Bassetti sono quasi 300 milioni, sono così tanti quelli che sentono questo legame identitario, culturale, economico e questa affinità o simpatia di fondo con l’idea che l’Italia tramite i suoi prodotti e la sua cultura trasmette di sé nel mondo, non sono necessariamente italiani e si chiamano «Italici».

L’illusione della democrazia diretta
L’attuale polemica contro un non ben definito establishment si nutre dell’illusione della democrazia diretta e cioè che il popolo possa fare da sé, senza avere un’élite ovviamente selezionata meritocraticamente ed eletta democraticamente, che lo possa guidare. Una chimera senza senso che porta a fenomeni distruttivi ed alla negazione della democrazia stessa, come il Presidente Trump negli Stati Uniti.
Insomma il progetto di Bassetti ha bisogno di una nuova classe dirigente, contaminata da esperienze internazionali professionali e di vita che la mettano in condizione di darsi il mondo, e non più l’asfittica dimensione nazionale, come orizzonte d’azione.
Una classe dirigente in grado di fare politica come gesto altruistico per il Paese che pensa di poter trasformare la società in qualcosa di più bello e più grande: la Nuova frontiera di Kennedy, un uomo nato 100 anni fa eppure così attuale e affascinante.
Qual è quindi la classe dirigente che può aspirare a guidare il Paese alla scoperta del Mondo, delle sue opportunità, a scommettere sull’apertura e non nella chiusura del miope protezionismo, che può aiutarlo a definire una strategia Paese che miri ad allargare il Commonwealth degli italici?
Noi riteniamo che l’Italia un bacino cui attingere ce l’abbia: sicuramente i suoi migliori professionisti e intellettuali ma che abbiano anche la caratteristica dell’apertura mentale che dia loro una visione globale.

La generazione Erasmus
Accanto a loro c’ê anche la “generazione Erasmus” per lo più nata negli anni ‘70 e ’80 e cresciuta nella percezione di un Europa concreta e possibile, una generazione che ha respirato l’aria di libertà ed emancipazione che un anno di studio all’estero regala, aprendo spesso la strada di una professione internazionale.
Sono loro che sono in grado di interagire e comunicare con gli Italici, che possono parlare loro da Italiani certo ma da Italiani figli del mondo e non solo della provincia in cui sono nati.
Gli Erasmus, studenti e professionisti che partecipano o hanno partecipato negli ultimi 30 anni al famigerato progetto di scambio universitario sono infatti Italici a pieno titolo: hanno una formazione accademica italiana cui hanno aggiunto una formazione internazionale e l’esperienza a tempo di una cittadinanza europea condivisa con altri cittadini di altri Paesi. Le loro radici italiane la loro mentalità internazionale ne fanno dei candidati ideali a diventare gli Italici del futuro. Nella generazione Erasmus c’è in nuce infatti la capacità di sviluppare un’identità sovranazionale basata sul non luogo e sulla condivisione di valori comuni di cui l’Europa è espressione.

Come dare concretezza al progetto di Bassetti quindi?
Se è vero che utilizzando le risorse della Generazione Erasmus il progetto di Bassetti può trovare le gambe per camminare, il mito fondante di un progetto politico transnazionale che non faccia riferimento ad un solido territorio geograficamente identificabile, ha bisogno però anche di obiettivi chiaramente identificabili ed il più possibile declinabili in concreto.
Lo sbocco concreto del Commonwealth italico è quello di farsi strumento di un servizio al Paese.
Il contributo che la Generazione Erasmus può dare è duplice:
1. favorire da un lato l’attrazione in Italia di buone pratiche economiche, sociali, politiche e amministrative dei paesi in cui gli Erasmus hanno studiato e si sono formati professionalmente;
2. contribuire dall’altro ad aumentare l’influenza della cultura, dell’impresa e dell’economia italiana nel Mondo non con gli strumenti tradizionali attraverso una proiezione a senso unico dello Stato sul mercato target del Paese ma attraverso l’interazione con le comunità di business italiche, cercando di aumentare la comunanza di interessi.

Questo duplice obiettivo darebbe solidità economica e politica al Commonwealth degli italici che diventerebbe un volano indiretto di grande sviluppo per il Paese sia sotto il profilo economico (export e attrazione di investimenti), che sotto il profilo del prestigio culturale.
Il processo così innescato favorirebbe la nascita di una generazione “proud to be Italic”, desiderosa di essere identificata come tale indipendentemente dalla sua appartenenza etnica, religiosa e geografica.
Il Commonwealth italico potrebbe in questo senso diventare una riproduzione in chiave post-moderna, digitale ed espressione di un soft power simile a quello dell’Impero Romano che attraeva popolazioni non latine alla cittadinanza attraverso una comunanza di valori e di esperienze condivise e non una comunanza di provenienza geografica o appartenenza etnica.