Di Vittorio Bianchi

La Corte Costituzionale ha bocciato l’Italicum. I tredici giudici hanno sentenziato che parte della legge elettorale proposta dal governo Renzi è illegittima e hanno ritoccato alcuni punti chiave, fra cui quello del ballottaggio. Il verdetto apre la strada a possibili elezioni, ora però la palla passa alla politica.

Mercoledì 25 gennaio, dopo circa 7 ore di consultazioni, è arrivata la sentenza definitiva da parte della Corte Costituzionale che ha sancito la parziale incostituzionalità dell’Italicum. La legge era stata proposta dal governo Renzi e suggellata a colpi di voti di fiducia, grazie al Patto del Nazareno siglato dall’asse PD-Forza Italia. Dopo la sua promulgazione alcuni Tribunali, fra cui quello di Perugia, Genova, Torino e Trieste hanno hanno deciso di impugnare la legge, facendo ricorso davanti alla Corte Costituzionale.

La bocciatura era comunque prevedibile. Interessante è che i giudici abbiano rilevato problemi di incostituzionalità con il ballottagio, ma non con il premio di maggioranza. La Corte accoglie dunque il ricorso per quanto riguarda il ballottaggio e introduce il sorteggio per le pluricandidature, lasciando invece inalterato il premio di maggioranza al 54% per il partito che raggiungesse il 40% dei consensi, così come capilista bloccati e pluricandidature fino ad un massimo di 10 collegi. La motivazione della sentenza verte sul fatto che non si può garantire ad un partito che raggiunge a malapena il 20% dei voti su base nazionale, quale è la situazione politica attuale in Italia, di stravolgere il risultato elettorale garantendo una maggioranza assoluta del 54% dei seggi in Parlamento.

“All'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione” chiarisce la Corte Costituzionale. Di conseguenza, se i partiti fossero interessati ad andare al voto, con qualche riallineamento delle leggi elettorali di Camera e Senato si potrebbero indire nuove elezioni.

Il voto, al più tardi nella primavera del 2018 è comunque inevitabile. Le incognite sono la legge elettorale e, appunto, la tempistica. Se si andasse al voto nel breve periodo il risultato sarebbe probabilmente un sistema multipolare in cui il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle si aggirano intorno al 25% dei voti, di molto al di sotto della soglia di premialità, mentre Forza Italia e Lega se la giocano intorno al 15% rispettivamente, ostentando in maniera sempre crescente una crisi di leadership nel Centro Destra. Ergo un sistema spaccato che renderebbe difficile governare il Paese. Per quanto improbabile, i partiti che potrebbero raggiungere o superare la soglia del 40% sarebbero potenzialmente il PD e il Movimento Cinque Stelle. Nel primo caso Renzi tornerebbe ancora più forte, avrebbe vinto il pugno di ferro. Nel secondo caso a spuntarla sarebbe il Movimento, i cui punti programmatici rimangono un interrogativo: se fino a qualche mese fa voleva indire un referendum sull’euro, qualche settimana fa ha cercato goffamente di suggellare un accordo con l’ala più eurocentrista del Parlamento Europeo: i Liberali di Verhofstadt.

Se la strada fosse invece quella di tenere in vita il governo Gentiloni per andare al voto il prossimo anno, il problema verrebbe semplicemente posticipato di qualche mese.