di Enrico Perversi

Avere fiducia in tutti o in nessuno è comunque un errore che comporta elevati rischi. Meglio adottare la fiducia intelligente.

Spesso in azienda si sentono affermazioni del tipo “io non mi fido a priori di nessuno, uno la mia fiducia se la deve conquistare” oppure “do fiducia a tutti ma se viene tradita sono spietato”. Chi ha ragione? Indubbiamente ci sono in gioco aspetti caratteriali ed esperienze pregresse tuttavia il tema non può essere liquidato come una semplice inclinazione personale, soprattutto se si ricoprono posizioni di responsabilità e le scelte coinvolgono altri, ricordando che quello che veramente differenzia un leader da un manager è la capacità di trasmettere fiducia delegando responsabilità e mettendo le persone nelle condizioni di dare il meglio di sé.

Stephen M.R.Covey propone di analizzare la questione attraverso la definizione di quella che lui definisce “fiducia intelligente” cioè quella che permette di gestire i rischi con saggezza evitando disastrose ingenuità, ma anche di non rimanere prigionieri della diffidenza che alimenta sospetti paralizzanti. La fiducia intelligente è funzione di due distinti fattori, la propensione alla fiducia e la capacità analitica; la prima viene dal cuore e deriva dalla personalità, dalle esperienze e dalla educazione, la seconda viene dalla mente ed è il portato di razionalità, logica ed istruzione. È interessante a questo punto provare a fare una autovalutazione, che voto (alto/basso) vi dareste in entrambi i fattori?

Vediamo il significato delle diverse combinazioni ricordando che si tratta di valutazioni soggettive che in realtà forniscono un pretesto per analizzare il tema.
Bassa propensione alla fiducia e bassa capacità analitica: è la situazione “senza fiducia” o dell’indecisione. Qui si trovano le persone che tendono a non fidarsi di nessuno ma, probabilmente, neanche di sé stesse. Ne consegue insicurezza, apprensione, esitazione, immobilità.
Alta propensione alla fiducia e bassa capacità analitica: è la situazione “fiducia cieca” o dell’ingenuità. Qui si trovano le persone che si fanno facilmente sedurre da promesse accattivanti che possono essere vittima di truffe.
Bassa propensione alla fiducia e alta capacità analitica: è la situazione della “diffidenza” o del sospetto. Qui si trovano le persone che non hanno fiducia in nessuno tranne che in sé stessi. Ne consegue controllo esasperato, lentezza, perdita di opportunità, demoralizzazione dei collaboratori.
Alta propensione alla fiducia e alta capacità analitica: è la situazione della “fiducia intelligente” o del giudizio. Qui si trovano le persone che dopo una valutazione attenta sono disponibili a dare fiducia e delegare responsabilità, non necessariamente lo fanno, ma quando questo avviene genera senso di responsabilità e sviluppo.
Tutto molto semplice, tuttavia se invece di noi stessi, cosa sempre complicata, analizziamo chi ci circonda in azienda troviamo sicuramente tutte le casistiche citate e l’ultima probabilmente non è la più numerosa.

La capacità analitica deve essere utilizzata per valutare in primo luogo l’opportunità o la situazione che ci si presenta, successivamente si prendono in considerazione i rischi connessi giudicando la rilevanza e la visibilità dei risultati e la loro probabilità di conseguimento, infine va considerata la credibilità degli interlocutori inclusa la competenza e l’attitudine. Dopo questa analisi si può lasciare spazio alle proprie inclinazioni ed anche al proprio istinto e decidere il livello di fiducia da accordare.

Una obiezione sensata potrebbe essere che si tratta esclusivamente di buon senso, tuttavia nel lavoro quotidiano spesso mi capita di lavorare su questo con manager che nella gestione dei collaboratori e nei concetti di delega di responsabilità desiderano andare oltre le consuetudini per crescere e far crescere il business e la loro struttura. Dopo alcune riflessioni spesso raggiungono la consapevolezza che la leadership non è qualcosa di innato ma che si può costruire a partire da un serio lavoro su sé stessi.