Nessuna cortesia all’uscita...il fallimento del part time agevolato

di Paola Fuso

Il part-time agevolato è una misura sperimentale introdotta dall'articolo 1, comma 284 della legge 208/2015 che consente ai lavoratori dipendenti del settore privato a tempo indeterminato con minimo 20 anni di contribuzione, di ridurre su base volontaria l'orario di lavoro per un periodo massimo di tre anni dal raggiungimento della pensione di vecchiaia. Si tratta di una misura pensata dal legislatore italiano per incentivare processi di riduzione di orario di lavoro nei confronti dei lavoratori prossimi alla pensione (requisito anagrafico raggiunto entro il 31.12.2018 e quindi 63 e 7 mesi per gli uomini e 62 anni e 7 mesi per le donne) in un quadro di flessibilità dell’uscita dal mondo del lavoro con costi spalmati tra lavoratore, datore e Stato.

In pratica, i lavoratori interessati, d’intesa con il proprio datore, possono trasformare il rapporto di lavoro in uno a tempo parziale con una riduzione dell’orario complessivo in una percentuale compresa tra il 40% ed il 60%. Il beneficio è dato dal fatto che la retribuzione per le ore effettivamente lavorate, viene maggiorata da una somma (esente da tasse e contributi) pari al 23,81% dello stipendio, relativa alla prestazione non effettuata. Per quanto concerne la pensione per i periodi di part-time è riconosciuta la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente al lavoro non effettuato. La pensione sarà la stessa che si sarebbe percepita continuando a lavorare a tempo pieno.

A descrivere il contenuto della norma, la previsione parrebbe ottima ma in realtà è stato un flop: le domande accolte sono state solo 200, le previsioni erano di quasi 30.000. Il motivo è questo: i lavoratori hanno potuto andare in pensione ad un’età inferiore a 60 anni, scegliendo così di incassare tutto l’assegno e magari di continuare a lavorare da pensionati. Inoltre, da un lato l’esodo dal mondo del lavoro è sempre stato garantito facendo valere il solo requisito contributivo a prescindere dall’età anagrafica, dall’altro il tentativo di introdurre un minimo di penalizzazione economica per il pensionamento di vecchiaia anticipata/anzianità prima dei 62 anni è stato prima sospeso poi abrogato. Infine, le salvaguardie per gli esodati hanno consentito a moltissimi lavoratori di andare in quiescenza sulla base delle regole previgenti alla riforma del 2011, quindi ad un’età inferiore dei 63 anni e 7 mesi necessari per percorrere la via del part-time agevolato.
Tirando le fila del ragionamento, le deroghe a cui è stata sottoposta la riforma Fornero hanno permesso a chi ne aveva i requisiti di ritirarsi alcuni anni prima dei 63 anni. È stato giustamente osservato (v. G. Cazzola) che il fatto che i vari comitati degli esodati abbiano rifiutato di avvalersi dell’APE (anticipo pensionistico) non è casuale: sapevano che almeno il 70% di loro non sarebbero stati in grado di avvalersene, mentre le ripetute salvaguardie riportavano indietro l’orologio della riforma. E questi lavoratori, che sono stati una parte importante dei nuovi pensionati degli ultimi anni, non avevano bisogno di ricorrere al part-time agevolato.

APE e part-time agevolato presentano lo stesso inconveniente che è dato dal limite temporale: 63 anni e 7 mesi è un tempo lungo per chi vuole smettere di lavorare. Chi potrà farlo – e saranno tanti – preferirà avvalersi delle norme stabilite per il pensionamento dei c.d. precoci (41 anni di anzianità senza ulteriori incrementi). Le caratteristiche del sistema pensionistico italiano faranno sì che gli uomini avranno le condizioni per rientrare tra i “precoci” (i lavoratori precoci sono quelli che hanno cominciato a lavorare prima dei 20 anni di età e che hanno, quindi raggiunto i 42 anni di contributi ma non i 62 anni d'età), mentre le donne saranno spinte ad avvalersi in prevalenza dell’APE (sia volontaria che sociale). È certamente più interessante quanto previsto in un decreto attuativo del jobs act, dove il part-time per i lavoratori anziani è collegato ad una contrattazione con le organizzazioni sindacali nell’ambito di un contratto di solidarietà espansiva, con l’obiettivo cioè di consentire nuove assunzioni. Dunque, un mix di lavoro (a part-time) e pensione, legato a nuove assunzioni. Ma non risulta che i sindacati si siano impegnati in tale direzione.

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